UN CONFLITTO EMOZIONALE È PEGGIO DI UNA PERTURBAZIONE RECETTORIALE 

UN CONFLITTO EMOZIONALE È PEGGIO DI UNA PERTURBAZIONE RECETTORIALE
Chissà perché in ambito medico, fisioterapico, posturologico si tende a dare più importanza ad un piede o ad una spalla piuttosto che alla presenza di “conflitti emozionali” importanti. Un conflitto, una vera e propria “ferita emozionale attiva”, ha il potere di perturbare la persona sotto tanti punti di vista e condizionare pesantemente il STP, dunque la postura nel suo insieme. Il terapista non può dunque ignorare lo stato emotivo del paziente, per cui questo aspetto dovrebbe essere valutato ed inserito in una serie di griglie di valutazione in ingresso, quando il paziente viene per un problema o un dolore.
Purtroppo in ambito posturologico si tende a dare poca importanza a due fattori che in realtà sono prioritari: lo stato o condizione della respirazione e movimento del diaframma e lo stato emotivo del paziente. Questi due aspetti in realtà andrebbero capovolti mettendo per primo lo stato emotivo. Si, perché se il paziente è ansioso, depresso, arrabbiato o insoddisfatto cronico, la stato della sua respirazione ne è la conseguenza…, raramente la causa. Dunque risulterà poco efficace iniziare meccanicamente da un piede, da una spalla, dai visceri o dal diaframma se la condizione di mancanza di gioia, di rabbia, di ansia ceonica…, modifica tutto il tono delle varie catene neuro-mio-fasciali.
In ambito posturologico si parla sempre delle varie figure mediche che devono ruotare intorno alla postura (odontoiatra, ortodonzista, gnatologo, ortopedico, fisiatra, foniatra, optometrista, logopedista, etc, etc,), ma mai si contempla l’aspetto delle emozioni e dunque di una figura specifica.
Sarebbe interessante che il posturologo avesse una griglia di domande e test a cui sottoporre il paziente (come avviene per tutti gli altri test di carattere occlusale, deglutitorio, visivo…, ovvero nel rispetto della transdisciplinarietà), al fine di comprendere quale sia la figura primaria di competenza a cui inviare il paziente.
Oggi questa figura in ambito medico non è molto presente, ed il paziente tende a rivolgersi direttamente al fisioterapista per eliminare il problema o dolore. Pur senza usurpare la figura dello psicologo, io mi sento in obbligo deontologico di osservare il comportamento e gli atteggiamenti del paziente. Come si presenta, come si muove, come mi guarda, come si siede e dove si siede. Come si appoggia o non alla scrivania, come si relaziona con un parente che lo accompagna o con me. Se è uno di quelli che si piange addosso, che reclama attenzione perché non è mai stato ascoltato o capito (fatto questo sempre più presente).
Tutto questo perché in base alla tipologia di carattere e di ferite emozionali presenti, il paziente risponderà ai trattamenti in maniera diversa, per cui andranno trattati in base al loro stato d’animo. Si dovrà quindi utilizzare un approccio più dolce o più deciso, più meccanico o più funzionale, più intenso o più dolce. Con una tecnica che “chiude” inizialmente il corpo piuttosto che una tecnica che “apre”. Insomma, siamo veramente esseri complessi che rispondono fondamentalmente alle stesse leggi…, ma che dovranno essere applicate in modo individuale…, personalizzate.
Non facile, ma non impossibile.
Prof. Daniele Raggi

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